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"'Il sovrappensiero' è il libro che avrebbe potuto essere. Che mi piace immaginare di aver scritto. Che racconta della sua incompletezza. È il tentativo di elaborare un saggio di filosofia sociale, che sfocia nell'autobiografia romanzata e in un racconto del più e del meno che davvero improvvisamente si ricorda di tutto il dolore e della frustrazione che sopravviene quando non si riesce a fissare l'oggetto del proprio discorso. È l'affranto che vince sulla ragione che vuol disfarsi dei primi maldestri approcci ad un qualsiasi problema filosofico, che pure in quel momento pareva la suprema questione: è uno strano e inconsueto bisogno di testimoniare al mondo il modo intimissimo - e che in un primo tempo doveva assolutamente restare tale - con il quale abbiamo pensato il mondo stesso. Mettere a nudo gli errori e le grossolanità come atto di pura superbia, o perché non è rimasto altro da fare, gli «avrebbe potuto essere» sono andati, e così questo libro, che è anche una congerie di assurdità, un elenco di battutacce sottoproletarie, un racconto di periferia, una fenomenologia del delirio, una presa per i fondelli, una serie di opinioni non richieste, vada come vada, come si diceva ai tempi della scuola, quando c'era il compito in classe di italiano, e alla fine dell'ora si pensava di non essere riusciti a dire proprio tutto quello che si aveva in mente. Il tentativo fallito di dare un ordine logico al proprio pensiero. L'ipotesi che prende forma e si avvera." (L'autore)